Maiolati – Da vedere

CHIESA DELLA BEATA VERGINE DELLA CANCELLATA
In origine si trovava qui, fuori delle mura, una semplice edicola protetta da una cancellata in legno. La chiesa rurale che poi vi si costruì, era già registrata nel XV secolo; in passato un’altra chiesa di Sant’Anna si trovava in un luogo più lontano dal centro del paese, rispetto al sito su cui fu ricostruita nel 1635, ovvero presso le mura del Castello per la maggiore comodità dei fedeli. Ciò fu possibile grazie ad uno scambio di terreni tra Don Domenico Butironi, proprietario di un lotto nell’area della vecchia pieve di Sant’Anna e Attilio Guglielmi, proprietario di un terreno presso la cinta muraria, che insieme al terreno per la nuova chiesa consegnò anche del grano, legname e altro materiale da costruzione. I lavori sono portati a termine nel 1641 ed il risultato è quello di una bella chiesa con tre altari. La chiesa era di proprietà della famiglia Mancia del luogo i cui posteri la donarono poi alla Parrocchia di Santo Stefano. Una ulteriore modifica avvenne attorno alla metà del Settecento, quando il Vescovo Fonseca vi fece trasportare un’immagine miracolosa della Madonna. Da qual momento Sant’Anna fu conosciuta anche con il nome di Madonna della Cancellata. L’edificio è un semplice volume con copertura a due falde, abside semicircolare e campanile. Il materiale impiegato per la costruzione è la pietra, a cui si aggiunge il laterizio solo per la riquadratura delle finestre e per la maggior definizione della cornice di imposta dei tetti. In facciata, oltre al portone, si osservano una finestra alta in asse a questo e due piccole aperture, ora tamponate a fianco dell’ingresso. L’immagine della Madonna, affrescata da Jacovo de’ Pittori del Massaccio (Cupramontana) nel 1517, è bellissima e si conserva perfettamente nei suoi smaglianti colori: è venerata particolarmente dalle madri e più ancora da quelle che stanno per diventarlo. Nella stessa chiesa è sepolta la signora Cecilia Amatori, madre di Paolo Amatori che Spontini stimò molto e volle nominarlo Segretario perpetuo delle Opere Pie da lui fondate. Si legge nella lapide: “Qui riposa Cecilia Milani, visse moglie affettuosissima a Pietro Amatori, poi vedova per più che sette lustri resse la casa con senno virile, fu colta, modesta, cortese, misericordiosa nei poveri, religiosissima. Morì placidamente il 13 gennaio 1837 – di anni 71 – mesi 4 – giorni 29. Paolo e Augusto alla madre ottima questa memoria dolentissimi posero.”

CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA
La chiesa si trova all’interno del complesso della casa di riposo, i cui lavori furono iniziati nel 1845 e portati a termine nel 1870 con la direzione dell’architetto jesino Ciriaco Santini, il quale tuttavia sembra non esserne il progettista. La chiesa, forse già completata nel 1853, di stile neoclassico, deve essere stata concepita, infatti, da un architetto francese, di cui non si hanno notizie. L’edificio di culto è posizionato lungo la strada principale che fiancheggia l’ospizio. San Giovanni battista è celebre perché vi è stato sepolto il musicista Gaspare Spontini, posto all’interno di un sarcofago in marmo grigio; anche la moglie avrebbe dovuto essere sepolta in una tomba analoga che invece fu trasformata in altare. La pianta ha la forma rettangolare, a cui si aggiungono gli spazi semicircolari dell’abside e, lateralmente, delle nicchie simmetriche, atte a contenere i sarcofaghi. Queste nicchie interrompono il sistema delle quinte murarie continue, solo segnate da lesene e da un’alta trabeazione, su cui è impostata la volta a botte con lacunari: le nicchie, infatti, sono fiancheggiate da due coppie di colonne binate, le quali sorreggono la trabeazione nel passaggio dal profilo rettilineo a quello concavo, per dare vita a un catino absidale decorato a fasce di costoloni e lunette all’imposta. 

CHIESA DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE
La chiesa settecentesca di Santo Stefano Protomartire si presenta con una deliziosa facciata ad intonaco, nell’alternanza di bianco e di giallo per le strutture ed i tamponamenti. La facciata, alta e stretta, anticipa la forma interna della chiesa ad aula. Secondo i canoni tipici del Settecento, il fronte è distinto in due parti principali, di circa pari altezza: la zona basamentale con l’accesso alla chiesa, e la parte alta, a sua volta divisa nella fascia che contiene il rosone e nel timpano di coronamento. Ad esclusione dell’architrave che divide a metà la facciata, quest’ultima appare come una sorta di grande portale, avente per montanti una coppia di lesene binate con capitelli di ispirazione ionica. L’architrave, posto a metà facciata, sospende la corsa delle lesene, le quali riprendono subito dopo fino all’architrave su cui è impostato il timpano. Alcuni elementi fanno supporre che al momento della definizione del fronte così come oggi appare, certi stilemi propri del Settecento fossero in parte superati, per dare spazio ad un linguaggio architettonico a volte anche più fantasioso, quando, ad esempio, dalle volute dei capitelli si vogliono appendere delle corone floreali. L’interno della chiesa è ancora un’aula con nicchie quadrangolari poste ai lati; la navata, coperta a botte, termina con un abside e relativo catino. Le decorazioni dell’interno, salvo le tipiche paraste, gli architravi, i costoloni, risaltano per la moltitudine di colori, che si scostano dalla raffinata, seppur rigida impostazione del Settecento,a favore di una maggiore varietà. Ed è così che si incontrano altari in azzurro e oro sulle nicchie, trattati come oggetti di architettura classica o barocca, analoghi tra loro nello schema, ma diversi nell’ispirazione stilistica. Altro elemento a sé stante, ma ben inserito in questo contesto poliedrico, è la balaustra della balconata dell’organo, posta su delle colonne sopra l’ingresso. La balaustra diventa un’occasione di scultura in legno, essendo costituita da un parapetto mistilineo con motivi architettonici e sormontata da una ricca e delicata composizione floreale, ancora scolpita nel legno dove trovano posto putti alati intenti a suonare.
La cantoria (sec. XVIII, legno scolpito, 9,20 x 2,30), notevole esempio di arte barocca, proviene dal monastero di Santa Palaia di Ancona, quando il monastero stesso venne chiuso per decreto napoleonico. Fu acquistata dal musicista Gaspare Spontini, sempre munifico verso la su aterra, che ne fece dono alla chiesa parrocchiale del suo paese natale. Con la cantoria venne anche donato l’organo, un Callido, opera dei celebri organari di Venezia del sec. XVIII, acquistato e donato nel 1811 dal fratello del musicista, Don Antonio Spontini. Proviene anche esso dal soppresso monastero di Santa Palazia. La cantoria si sviluppa con un basamento scandito da lesene che poggiano su pesanti motivi floreali stilizzati, mentre tutto il basamento stesso è attraversato in senso orizzontale ed in quello verticale da festoni di fiori e teste di cherubini. Sopra il basamento si leva, in una coreografica scenografia, la parte superiore della cantoria, formata da ampie volute e motivi floreali che si intrecciano con movimentate sinuosità ornamentali. Sui cinque vertici, quattro angeli a tutto tondo che suonano vari strumenti, intramezzati da altri strumenti musicali: al centro, invece, un’ampia decorazione floreale. Il complesso monumentale dà il senso di gioiosa festosità, trasportando il visitatore in una sala settecentesca preparata per un intrattenimento mondano.

CHIESA CRISTO REDENTORE DI MOIE
(da “Società Filarmonica Gaspare Spontini – quasi una cronaca del XX secolo majolatese” di Marco Palmolella 1997 Comune di Maiolati Spontini)
Anche se le opere erano da alcuni anni ultimate, solo il 19 maggio 1990 fu effettuata la solenne consacrazione della Chiesa Cristo Redentore di Moie
L’idea fu di don Giuliano Gigli che nell’ottobre del 1961 costituiva un comitato per la nuova chiesa composto da Antonio Giampaoletti, Luigi Cesaroni, Dino Ceccacci, Alfio Borgiani ed Enrico Paoloni.
Nel marzo 1962 era riuscito ad ottenere, gratuitamente, da Ludovico Gilberti, Alessandro Mancini, Giuseppe Sarti, Maria Lina Carbini e Valeria Carbini tremila metri di terreno da destinare all’edificazione della chiesa.
Alle 20 del 7 settembre 1964 venne celebrata la cerimonia della posa della prima pietra: il vescovo Giovanni Battista Pardini benediceva e poneva nel terreno un blocco di marmo offerto dagli operai della ditta Fimea di Moie. Alla manifestazione parteciparono autorità religiose e militari, amministratori del comune e una folta rappresentanza del 2850 parrocchiani che avevano elargito offerte con cui era stato completato l’acquisto dei quattromila metri quadrati necessari all’edificazione. L’area era completamente al di fuori della zona urbanizzata e priva dei servizi di pubblica illuminazione.Per mancanza di fondi il lotto di terreno rimase per alcuni anni abbandonato ma nel maggio del 1966 il Ministero dei Lavori Pubblici stanziava la somma di trenta milioni in favore dell’edificazione di una nuova chiesa destinata ai tremilacinquecento residenti di Moie.
Nel gennaio 1971 fu portato all’attenzione della popolazione il progetto definitivo per la nuova chiesa realizzato dall’ingegnere Giuseppe Lenti: grazie all’impegno di don Anselmo Rossetti di don Aldo Anderlucci i lavori iniziarono poco dopo.Terminata la fase più consistente dei lavori, il 1 novembre 1975 fu celebrata la prima messa nella struttura che assomigliava ancora a un cantiere; poi, grazie alla rapida urbanizzazione della zona e alla volontà dei residenti fu possibile completare l’opera.
Aggiornato: 25/11/2008 15:42:08
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